E se’l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ci sono delle volte in cui a chiamarti sono dei libri scritti appositamente per te.
Quei libri di cui, non lo facevo da decenni, non puoi fare a meno di sottolineare le frasi che ti trapanano l’anima.
Quante volte, come Francesco, l’autore di questo magistrale libello mi sono sentita dire, più che chiedere:- Potresti optare per qualsiasi scelta universitaria, perché Lettere Classiche che offre pochi sbocchi?-
La risposta nella su citata frase di Dante:ʺSe il mondo, Italia in primis, pensasse di più alle inclinazioni individuali e ai talenti – talento in latino significa per l’appunto dono – sarebbe un posto miglioreʺ.
E partendo da questa riflessione Francesco, da novello Cicerone per nulla saccente, sale con garbo, eleganza e sottile ironia sui rostri per difendere una per una le diverse e così bistrattate discipline umanistiche, di cui l’Italia è figlia più di ogni altra nazione, includendo a ragione anche lingue vive considerate di Serie B (mah!) come quelle nordiche.
E lo fa parlando della propria esperienza personale: lui che, negato in educazione fisica, ma profondamente innamorato di Ovidio, della storia e della filosofia, conosce quattro lingue, incluse le inutili, grazie alle quali ha intrapreso una brillante carriera lavorativa.
Perché se la scienza trova le risposte, è proprio l’umanista a porre le domande giuste.
Rivoluzionario il suo punto di vista per cui Umanesimo e Scienza non sono rivali, bensì complementari.
Un excursus assolutamente vincente, fresco, scoppiettante, ma mai polemico, intriso di uno stile attualissimo, impeccabile e luminoso che non sfocia, come per altri che vi hanno tentato, in una storia della storia della letteratura.
Qui c’è quel quid di meraviglia in cui ogni elemento è perfettamente incastrato al posto giusto, aggirando l’ovvio, non reiterando il risaputo, aprendo strade, sondando il possibile.
Chapeau e, come ripeto da anni, per aspera ad astra e ancora un’altra volta sì!