Palinsesti, chi sono costoro?
La prima volta che abbiamo sentito questo termine ci siamo poste questa domanda, proprio come don Abbondio nei “Promessi sposi”.
Si tratta di “pergamene riscritte”, riadattate a supporto scrittorio, soprattutto nei periodi di crisi economica, visto l’alto costo delle pelli animali.
Il termine deriva dal greco “palìn psao”, che significa «raschiare di nuovo», e indica l’operazione che si svolgeva per eradere la scrittura e potervi scrivere nuovamente.
Ma come avveniva il procedimento?
Il tutto è illustrato nella ricetta di Tegernsee, conservata in un codice copiato presso l’omonima abbazia tedesca nel X secolo: “ S’immergeva il foglio in un bagno di latte per una notte intera, poi si passava una spugna per cancellare l’inchiostro, si spolverizzava con farina e calce, infine si lisciava con la pietra pomice”.
Et voilà: il foglio era pronto per essere ‘servito’ e riscritto.
Proprio per questo i codices rescripti, ossia i palinsesti, presentano sia una scriptio inferior, meno visibile ad occhio nudo, e una superior.
Tra i codici palinsesti più famosi ci sono:
- – il Vat. lat. 5757 che tramanda il De re publica di Cicerone (scriptio inferior), risalente al IV secolo, coperto dai salmi di s. Agostino (scriptio superior) nel VII sec., rinvenuto dal cardinale Angelo Mai nel 1819;
- – il cod. G 82 sup., il ‘Plauto Ambrosiano’ del IV-V sec., contenente alcune commedie plautine (scriptio inferior), coperto da alcuni brani della Bibbia nel IX sec. (scriptio superior)
- – l’Urb. gr. 154, contenente la Schedographia di Emanuele Moscopulos (scriptio superior), copiata nel 1423, riutilizzando i fogli membranacei di un codice dell’XI-XII secolo (scriptio inferior).
Insomma una chicca per intenditori, bibliofili e non!
